La pace dona a noi

— “Usciamo che almeno fuori c’è aria”

Masao Yamamoto
Masao Yamamoto, Kawa #1527, Photographs, mixed media, 2009

Dall’alto il colore dei loro capelli si confonde. Un castano ambrato con qualche bagliore diverso. Giusto un paio di fili bianchi; uno per ciascuno. L’abbandono, anche quando non si fosse ancora consumato ma se ne avvertisse l’imminenza, implicherebbe un’autopsia. In fine, la valanga del rimpianto. Una massa di terra che precipita lungo un pendio, un’erta rovesciata. Per sempre

Lei si vede con un fantasma. Il fantasma le afferra le braccia, la tocca in mezzo alle gambe, sa come deve toccarla. Le sfiora la schiena, le morde la nuca. Non ha idea del suo volto. Non è certa che i fantasmi ne abbiano uno: un viso, con dei lineamenti precisi. Con un sapore dentro la bocca. Un odore personale che si portano dietro dall’oltreluogo. Ha sognato che la casa, una casa che non somiglia alla sua, si allagava a partire dal frigorifero. Mobili, quaderni e scarpe galleggiavano. Ricorda anche una festa. Parei blu, vestiti appesi al muro che desiderava indossare. Aveva una specie di urgenza orgasmica di portare con sé un reperto di ciò che stava sfiorando con la punta delle dita. Un abito di seta, una cintura di cuoio, un paio di guanti. Poi lui. Sbracato su una sedia, in una posa adolescenziale e sfrontata. Bello come nel tempo finito. Beffardo. Quell’uomo sopravvissuto alle sue sezioni e Tac e scintigrafie e stratigrafie. Quel gabbiano impagliato che per qualche tempo l’aveva fatta esistere e poi non più.

masao-yamamoto-11b
Masao Yamamoto, 1019, Box of Ku, gelatin silver print with mixed media, n.d., 2″ x 5.5″

 

— “Perché ce l’hai con me?” e se ne va…