Una giornata umida

Novantacinque percento di umidità. Il mio amico romano di Roma dice che Cuba l’hanno vista tutti e quindi, orsù, per dindirindina: non la fare così lungaIn Hotel ancora nessuna traccia di acqua da bere, in compenso una piccola blatta mi ha dato il buon giorno alle 5:30, ora locale. La vista però è da brivido caldo e i condor una novità alla quale non abituarmi. La nostra guida di chiama Elvis, ci ha raccontato dei doppi Santi – quelli cattolici e gli Orixas – del panteismo caraibico, della venerazione del popolo per Fidel e dei seicento tentativi americani di farlo fuori, dopo la Rivoluzione dei 1959 e la vittoria riportata alla Baia dei Porci. Tuttavia, nel giro dell’Havana vecchia e nuova nessun ingresso ai musei. Io e una coppia di vicentini davvero a modo, dell’età di mia madre, abbiamo ascoltato, commentato, sudato e fotografato l’impossibile. Ho evitato di ritrarre gli Jabo, almeno per il momento, si distinguono perché vestiti di bianco, e in quanto proteggono se stessi e il santo che sta loro sulla testa dal sole, con un ombrello bianco e per un anno intero. Siamo tornati in hotel passando dal Campidoglio in scala alle strade punteggiate di pozzanghere archeologiche, galline schiacciate, frutta tropicale e afrori, olezzi e piroette olfattive degne dei vecchi banchi di Parigi, descritti in Profumo di Süskind. Alle 20:30 si cena e per me saranno ancora uova.

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