Tanto fuoco. Tanta cenere

— “Avvicinarsi abbastanza da scaldarsi ma non così tanto da ferirsi, si chiama dilemma del porcospino”

— “Cosa vuoi dirmi”

— “Niente”

— “A me piace la tua libertà, al contrario di altri”

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Sam Jury, Anothing Thing Coming, Video Still-72_0, 2004

Si comincia così, come è successo a Yann Lemée – che un giorno sarà ribattezzato Yann Andréa da Marguerite Duras –. Il ragazzo non ancora ventenne, quando s’imbatte in Les Petits Chevaux de Tarquinia , i resoconti italiani, cade nell’incantamento della scrittura durassiana. “Una specie di colpo di fulmine” ha spiegato poi. “Da quel momento ho lasciato perdere tutto, tutti gli altri libri per non leggere che i suoi”. Lei aveva trentotto anni di più ma era una bambina amata male.

Marguerite Duras
Robert Doisneau, Marguerite Duras in rue Saint Benoit, Saint-Germain-Des-Pres, 1955

Questa storia mi ha ossessionata a un punto tale che bere, scrivere e cercare un amante giovane sono diventate tre linee guida. Negli ambienti della Nouvelle Vague capitolina mi faccio chiamare Marguerite. Sono una ragazza impegnata in politica, che fuma, veste di nero e impreca. Ho un atteggiamento sfrontato. A tratti ruvido. Altri fin troppo ilare. Alla maniera degli anni ’50 del Novecento. Quando gli intellettuali erano dissidenti.

Sogno in francese. Bevo come un uomo. Penso come un uomo. Ma il mio desiderio è nascosto. Non lo sa nessuno. Nemmeno chi l’ha preso fino in fondo

Nemmeno io so del fuoco e della cenere, perché la pelle non riesce a confessarmi cosa vuole. Quando tutto può chiudersi – la curiosità, la seduzione, la cena, il tempo, la penetrazione, la fine -, posso tornare ai miei pensieri. Che non sono miei ma di Marguerite

Lei è la mia “istituzione di sequestro”, mi forza a essere migliore attraverso la perdita della mia identità. Mi chiedo come si stesse a Saigon nel 1930, nell’Indocina francese. Al mio tempo. Fra gli odori di fritto nelle strade e la polvere sulle scarpe che usavo per andare al Liceo. Costeggiando le fumerie d’oppio nelle quali si perdeva mio fratello Pierre. Sono andata vicino a Vinh-Long per vedere il sole tramontare fra le risaie e per ritrovare i luoghi della sua giovinezza. Della mia attuale giovinezza. Ieri la guerra d’Algeria oggi i presidi militari per arginare il terrorismo.

HiroshimaMonAmour
Alain Resnais, Hiroshima mon amour, 1969

Entrambe scriviamo all’uomo che non c’è. Un padre che manca riempie lo spazio. In modo vasto e inconsolabile come la percezione del corpo nel paesaggio. Ma anche un figlio che manca è una ferita e anche una consolazione. Non se ne andrà mai e congiunge le nostre vite. Ecco queste due assenze – un padre e un figlio – uno alla destra e l’altro alla sinistra. Uno con un volto, l’altro solo un calore in fondo al ventre e una morbidezza nella carne. Questa è la stanza nella quale ci guardiamo in faccia, e ci rende una. Ti parlo nella testa e intanto risistemo la stanza, mi trucco e ravvivo i capelli. Fra poco devo partire.

Ho attraversato montagne di rifiuti con un taccuino fra le mani. Mi manchi tu però. I tuoi baci, il tuo odore, la tua distanza. Gli occhi contro i miei. Quello sguardo orientale che mi dà la forza per essere Marguerite.

CAMERA A SUD

Si torna a Roma. Una voragine e il timore di non essere cresciuti bene, di non avere affondato le radici nel terreno migliore. Si torna senza essere mai andati via dal Reno negato. Dai letti sfatti. E si lavora per fare precipitare i quaderni dei desideri nel cratere della montagna. Restando liberi e nuovi, in custodia del lavoro che santifica… Arsi nei roghi di fine anno, che trasformano le pagine incollate dall’umidità in propellente, per salire al cielo. 

Questa è la zona poetica di controllo. Al contrario, dove vivo il coro accorda le lagnanze. La calunnia soverchia le cose dello Stato. L’invettiva la miseria democratica. E il progetto di eguaglianza, acquattato dentro l’abolizione dei congiuntivi, dice pure troppo sulla inconcludenza del merito. Dove vivo è l’animosità del povero che non nutre speranza sul presente e il futuro. In quanto povero, infatti, non si può permettere né l’amore né la solitudine o, meno che mai, l’atteggiamento lirico. Egli soffre del taglio delle utenze: luce, acqua, gas, wireless. C’è, ancora, una scissione tra il povero di mezzi e quello di immagini; sappiate: il povero a una dimensione (d’immagini) non si accorgerà nemmeno della fragola, che potrebbe consolarlo prima della caduta nel burrone.

anita

Una piccola vita ordinata la mia, con i precetti e le norme dei travet. Sveglia alle 7.15, caffè, lettura, caffè, doccia, vestizione, passeggiata verso la redazione. La batteria si scarica… A un certo punto.

Ho sognato il mare, che da Bologna è escluso persino dalle rotte dei venti. I cavalloni avevano un colore inusuale: verde ossidiana. Scuro, brillante, denso come vetro liquefatto.

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Green erosion

Un uomo biondo, con occhi grandi e lontani, come quelli di Fabio il lupo, era (non chiedetemi perché ma ne sono certa) la guida del corso del tempo. L’angelo mi proteggeva; intanto osservavo, dalla soglia di una stanza che rischiava di essere inondata. La luce abbagliante circondava ogni cosa. Prima che le onde prendessero ogni cosa. Sentivo però che l’acqua non mi avrebbe travolta. Mai.

Dice Vince

Si torna senza essere mai andati via. A volte non c’è spazio neanche per il pensare e la scrittura è davvero un vortice, un cratere disegnato senza alcuna profondità, nient’altro che implosione. Siamo liberi, nuovi e spesso soli. Alla ricerca di occhi e di mani, di occhi recisi e di mani agitate.
Non è una bella serata ma le tue parole sono arrivate. E hanno reso il cratere profondo. Ti regalo un sorriso, ma non so se serve

1.-Il-Mago
Andrea Romito, Il mago, 2014