Viaggiare dentro

Io non so so andare in bicicletta, però conosco uno scultore di libri canadese.

Sto spesso da sola e viaggio di frequente senza compagnia. I libri mi accompagnano, mi proteggono e soprattutto mi aiutano.

Nel 2008 andai a Como come visiting curator in una nota Fondazione. L’approccio fu tutt’altro che cortese, nonostante la senior curator mi avesse presa sotto la sua ala. Così, trascorsi la prima settimana del mese che mi aspettava a piangere, chiedendomi cosa ci facessi là. Oltre alle otto ore di lezioni in inglese, i complessi rapporti fra board curatoriale e i ventidue artisti provenienti da tutto il mondo, avevo da portare a termine la redazione di ottantaquattro schede d’artista; per un ponderoso catalogo d’arte contemporanea. Quest’ultimo doveva essere — pensate un po’ — il mio battesimo del fuoco, l’ultima tappa per entrare una volta per sempre nel piccolissimo mondo della critica d’arte stringente e sexy. Avevo pochi momenti di svago, sicché durante uno di quelli, decisi di seguire un consolidato rituale: andare in una piccola libreria locale, a farmi consigliare dal responsabile il libro che lui o lei ritenevano il migliore del momento. Mi aveva salvata la medesima prassi durante un rocambolesco e mal riuscito trasloco a Milano, quest’ultimo mi aveva permesso di conoscere La lezione di Barney di Mordecai Richler. Tuttavia, l’abitudine l’avevo coltivata fin dai tempi dell’università e del mitico incontro con Gregorius S., indimenticato libraio bolognese passato, da poco più di un anno, a miglior vita. Como mi regalò Goliarda Sapienza e L’arte della gioia, il miglior Nobel non consegnato della storia della letteratura italiana. Un virus benefico dal quale non è necessario guarire

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