Mai visto un cielo così

C’era tutto. La montagna, le stelle, la pienezza della luna. La noia di un amore contrastato. La sensazione di essere api operaie, sazie di feste solitarie. Stare insieme legati da un baccello virtuale di sacrificio, con la personalità frammentata dalla paura del giudizio sociale. Era stata una sfida raggiungere l’isola, restare impigliato nel mare in inverno, senza nemmeno un bar dove curare i litigi da eccesso di convivenza. Quelli che non erano stati deportati arrivavano per un bicchiere di vino, per un piatto caldo o per qualche pettegolezzo che sarebbe diventato di lì a poco robaccia da fare scivolare nel tritarifiuti. La luce stava crescendo su questo segmento longitudinale, ma il senso di irreversibilità era retto, a picco. Potevamo credere in uno scopo? Un uomo risvegliato non cede alle illusioni, smette di volere cambiare la realtà e la attraversa venerando i dettagli. La luce sulla stessa montagna, che cambia a ogni stagione, un passero dalla coda vermiglia, il fuoco perpetuo del disinganno, le carezze della notte, gli odori catarrosi delle bocche al risveglio, il sole perfetto sui coppi. Un nulla spazioso come il cuore.

Fucking end

Ogni anno circa 120.000 organi, soprattutto reni, vengono trapiantati da un essere umano a un altro. In alcuni casi il donatore è un volontario ed è vivo. Di solito, però, si tratta di una vittima di incidenti, ictus, attacchi cardiaci o simili eventi improvvisi che hanno determinato la morte di un individuo altrimenti sano. Ma la mancanza di donatori idonei, in particolare ora che le automobili diventano più sicure e il primo soccorso diventa più efficace, significa che la fornitura di tali organi è limitata. Molte persone quindi muoiono in attesa di un trapianto. Ciò ha portato i ricercatori a studiare come si possa costruire organi da zero. Un approccio promettente è quello di stamparli.
(Printed human body parts could soon be available for transplant, Medium/Economist, 31 ottobre 2017)

 

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Ed Atkins, Safe Conduct, 2016 Three channel installation with 5.1 surround sound Acquisition approved November 2016

L’accendino si era scaricato e non avevo con me né soldi né il bancomat. Una zingara stava rovistando nei bidoni, con metà corpo nel cesto e le sue gonne larghe e luride che sembravano vive ma senza il tronco. Mi avvicinai. Pensavo avesse da accendere e le dissi che le avrei dato un anellino d’oro. La zingara non aveva più di diciassette anni. Tirò fuori la faccia dalla monnezza e sorrise. Faceva freddo. Il fuoco la sorprese e anche me. All’orizzonte si sollevò una colonna di fuoco alta almeno venti metri, con la parte apicale a forma di fungo. Sulle nostre pupille brillava il riflesso delle fiamme e regnava un silenzio così denso da farmi salire un brivido lungo la schiena insieme a un senso di nausea così forte che mi appoggiai al braccio della zingara per non cadere. Il mondo era finito ed eravamo rimaste noi. Le chiesi ancora da accendere e lei tirò fuori un accendino rosa da dentro la manica del maglione dai bordi lisi e marroni. Prima potevamo scegliere cara, ora non più, dissi. Non rispose. Guardò ancora verso il fuoco, immobile. Sta per piovere, disse. Come lo sai? Dissi. Ho sentito una goccia sulla testa, disse. Cosa facciamo? Dissi. Ce l’hai una casa? Disse. Da oggi comincia la caccia, disse. Io sono avanti, aggiunse.

La barba

Si faceva strada la certezza di essere diversa. I maschi la schivavano e le femmine la invidiavano per la sua sfacciataggine

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Maria Falconetti in The Passion of Joan of Arc, 1928, Carl Dreyer (film)

Era diventata vegana a dieci anni, deperendo in modo visibile nel giro di pochi mesi. Anche le mestruazioni le erano venute tardi. I genitori erano separati. Suo padre si occupava di investimenti nell’Europa dell’Est e la madre aveva un centro estetico nella loro città. La sorella frequentava di nascosto i club bondage. Greta aveva letto di una adolescente giapponese che si era ribellata alle norme di bellezza delle liceali facendosi crescere la barba. Un sabato di novembre aveva preso il rasoio di plastica rosa con le contro lamette intrise di gel all’aloe, che la sorella utilizzava per depilarsi le gambe, e l’aveva passato sulle guance e sopra le labbra, con la mano tremante. Non c’era ancora nulla da radere ma presto un’ombra nera sarebbe apparsa dove adesso la pelle era liscia e da poco le guance avevano smesso di essere tonde in modo infantile. A maggio, quando la trasformazione è già compita, incrocia Justin in palestra

 

 

“Ehi”

“Ehi”

“Certo che sei proprio forte”

“In che senso?”

“Intendo quella”

“Ti riferisci alla barba?”

“A cosa sennò?!”

“Uhm…”

“Sai che mi piace…”

“Beh… sei l’unico. E poi non l’ho fatta crescere per piacere a qualcuno”

“Mi piaci per questo”

 

Andarono nello spogliatoio e Greta sfiorò il petto di Justin che aveva due lievi rigonfiamenti, come due seni appena sbocciati. Sgranò gli occhi e Justin le chiese se le facevano schifo, lei fece di no con la testa.

Il viaggio di Penelope e Calipso

“Prendi il pane”

“Sì”

“Non quello, prendi il più vecchio. Il pane non si butta”

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Siamo nate in una terra difficile. I rapporti fra le persone possono salvarti. O distruggerti. Un giorno abbiamo guardato l’alba dal balcone, carezzato i gatti, scelto un paio di libri importanti e siamo andate via. Delle lacrime ci vergognavamo. Nostra madre entrava e usciva dagli esaurimenti nervosi e dalle cliniche. Una serie di dottori andavano e venivano da casa nostra. Avremmo desiderato un padre cui appoggiarci. Ma un padre non c’era. Tanino sa tutto aveva deciso di imbarcarsi per un viaggio più felice del nostro, dal quale non sarebbe mai tornato indietro. Cos’è una madre? Ce lo siamo chiesti così tante volte che se la domanda fosse stata una pietra, si sarebbe sgretolata al fuoco della collera. Le pietre poi le ingoiamo e certe volte il fastidio ci tormenta, come quelle piccole spine di acciuga che ti si piantano in gola. Anche le pietre possono frantumarsi. Basta avere pazienza e aspettare. Amavamo ed eravamo riamate, almeno così ci sembrava. Eravamo in ogni caso troppo giovani per capire la differenza. Ammesso che ci sia una qualche differenza fra i fuochi del corpo e il tepore della protezione. Avevamo un anello e ne avevamo regalato uno uguale, nascosto dentro una torta. Tutto il resto tendeva all’eclissi.

 

Stanza I.

Le donne sono pericolose. Anche quelle anziane, pensavamo. Nella fattispecie, la vecchia aveva ottantacinque anni ed era una stronza. Ci Vietava di stare al telefono a lungo, di usare la lavatrice, di cucinare se non era presente. Lavatrice, telefono, cucina, interdit. Perché eravamo del Sud e la vecchia non si fidava di quelle del Sud. Parlavamo una lingua nazionale ma quello che stava dietro le parole non si somigliava. Ci impiegammo tre settimane a trovare il bar dello studente. Costo di un panino cinquecento lire, un affare. Zero gradi temperatura esterna, trentotto dentro la casa della vecchia malvagia. Dopo meno di un mese avevamo già collezionato: due bronchiti, sei multe sul bus, e due choc da nero libanese fumato in sala studi occupata. Avevamo anche conosciuto Yuri, che aveva composto la poesia dei consumatori dell’Lsd: “Siamo qui- siamo lì – siamo lì-qui-di”.

 

Ombra nell’Acqua

Stava, circonfusa dal colore del sole nelle giornate di maggio. Un sole tanto caldo e confortevole allo sguardo da sembrare finto. Le esperienze di confine, sopratutto nella percezione, saltano dal vero alla finzione. Probabilmente per la loro polarità eccessiva. Una cosa non vera che lo sembra o non del tutto falsa per allontanarsi quanto basta dal vero. Lei era in attesa di un ritorno e aveva smesso, per questa ragione, di muoversi, mangiare e respirava a piccoli sorsi. Convinta che anche quel movimento involontario potesse disturbare l’estetica rappresentata dall’immobilità

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Freek Wambacq, Rain – Meinl Nino 596 Botany Shaker Apple, 2013″ Archival pigment print on cotton rag paper Format 43 x 55 cm Encadré/Framed: 82,4 x 94 cm

Spiegarvi di lei sarebbe come fotografare un odore. Non parlava ed era entrata nel paesaggio al pari di una statua ricoperta dal muschio. Ti piacerebbe vivere la vita che non hai vissuto? Hai presente quando ripensi ai momenti di scelta della Facoltà Universitaria o, ancora prima, addirittura della scuola. Oppure ti capita di essere sommersa dalla grande solitudine di quando i compagni di classe ti vessavano. Dal peso di un’ingiustizia misurata da unità di silenzi, insieme all’oscuro sospetto che una colpa potesse farti meritare l’accanimento di un branco di feroci adolescenti. Ripensi alla strada che non hai percorso, al ragazzo che ti amava ma non era all’altezza delle aspettative della tua famiglia. Al momento in cui hai inscatolato la tua roba e hai lasciato la città che amavi per raggiungere una persona con la quale iniziare una vita nuova e ricostruire una parte di te perduta. Non sto parlando di questo, volevo mettere nel pacco dei ricordi un odore e partire da lì. Un breve viaggio. La direzione è a riva, laggiù vi aspetta l’ombra della donna riflessa sull’acqua

Room mate

Anni fa sue compagne d’appartamento sceglievano le successore con fermezza arida e malefica. Una ciociara di nessun talento con una pincher nevrotica di nome Clorofilla – che si accoppiava nell’armadio con un peluche -, causa urgente bisogno di incassare la caparra, impose tale Rosa: lesbica, fuggitiva e priva di biancherie e accessori, fuorché gli stessi vestiti che indossava

Mark Ryden
Mark Ryden

La derelitta era la fotocopia sputata di Mariangela, famigerata figlia di Fantozzi. A quell’epoca studiava di notte, per cui la donzella, bresciana d’adozione e per ciò stesso taciturna, si beava di fissarla per un tempo incalcolabile e irritante. Condivisero la stanza, finché non rischiò di soffocare i quattro abitanti della casa con il fumo della carbonizzazione di una bistecca; incapace com’era nelle sapienze domestiche. Una mattina raccolse i suoi sparuti effetti personali e se ne andò.

https://totalblack.bandcamp.com/album/orchis

Requiem con la banda

“Un poète mort n’écrit plus. D’où l’importance de rester vivant” (Michel Houellebecq, Rester vivant: méthode)

Ha vicino il libro di poesie che le ha regalato, il prezzo non è coperto dal bollino. Deve dedurne che ce lo aveva in casa, quindi non l’ha cercato e comprato, ma soltanto prelevato da un angolo della sua libreria. Le tracce sono importanti. Gli animali ne lasciano in continuazione. Prova così a tornare all’origine: la paura. Anche una madre ti abbandona; deve separarsi tagliando di netto un canale di nutrimento. No, quindi all’origine c’è la sofferenza. Senza non scriverebbe. Con molta probabilità si sarebbe suicidata. Ma uno scrittore morto è pur vero che non scrive più niente. Uno scrittore defunto si riposa, una buona volta, dal tormento di scavare per tornare all’inizio della storia. Alla malinconia, alla perdita e all’odio. Al timore di non appartenere a nessuno

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Iggy Pop e Michel Houellebecq

E arriva, comunque sia, il silenzio e il deserto; un modo interessante per sospendere le attività meccaniche e acquistare una specie di iper vigilanza. Un senso definitivo e aumentato d’impatto, che potrebbe, vero o no, avere il gusto dell’eternità. Voleva spiaccicarsi contro un muro, per scelta e con un trucco da diva. Una volontà pacifica e risolutiva, un tanto di vanità invece che pagare il prezzo della catabasi con l’isolamento e la mania di persecuzione. La settimana prima la sua casa era un nido, dopo una gabbia elettrificata. Mangia, beve caffè, si lava, caga, piscia, sbadiglia, fa la spesa. Origlia: l’udito radiante capta le urla dietro gli abiti stirati della gente che si è arresa. L’amico terapeuta le propone una cura per l’organizzazione borderline dei pensieri. Lei si adatta e accetta. Si adattano anche gli altri. È così aperta e ricettiva, così poco incidente sulla vita di coloro che ama. Come si fa? Una volta era capace di scomparire. Nei giorni di pioggia una parte di lei rumina ancora fino a dissolversi nella realtà. Lui non lo ha pensato, lo ha fatto: è svanito. “Sono un signore” le aveva detto qualche sera prima. E poi “Non rintanarti nel tuo angolo di buio e solitudine”. L’ascesa è così rapida e infruttuosa, così caduca, che non fa in tempo ad accorgersene che la luce è spenta. La lampadina si è fulminata con un piccolo, breve, intenso, scoppio. Quella possibilità contraria alla distruzione, che alberga negli spiriti affacciati dove si cade, poiché stanchi di restare nell’equivoco, è andata a sistemarsi nel mai più dei viventi. Per quale ragione non dovrebbe essere giusto conquistare un intero cosmo di ‘per sempre’

Pensa soltanto al passato e così le replica. Tuttavia, vuole sperimentare il sentire continuo, non ostacolato dalle regole della domanda e dell’offerta. Una mobilitazione emozionale potenziata, al contrario, dalla rarità dell’incontro e dalla costante dell’allontanamento. Se adotti un gatto, ti piace tanto il suo morbido pelo e vuoi continuare a godere della sua presenza, sei chiamato a nutrirlo e curarlo come si conviene, sennò crepa. L’amore viene prima, ti motiva nella presa di responsabilità. Dunque, non è lei a essere fragile, non è lei a essere codarda, non è lei a sottrarsi. È lui. Un lui che si sposta (non ama i gatti ed è narcisista) lo si trova dappertutto. Cambia la faccia, l’odore, il sapore, la forma ma gli è impedita la disperazione, in quanto non sa nemmeno chi sia e cosa gli serve per dirsi umano; così afferma il diritto di prendere ciò che può. Sa di potere consumare e per questo semplice fatto non c’è motivo di andare in profondità a cercare nutrimento. Laggiù potrebbe albergare l’origine, ossia la sofferenza. Che sia un requiem con la banda, a tratti anche esilarante, non vi è dubbio

“Non abbiate paura della felicità. Non esiste” (Michel Houellebecq, Rester vivant: méthode)

Perle di fiume

L’altro giorno in uno dei locali del centro dove va quando non ha nulla da fare c’era un tipo di Fano. Hanno cominciato a parlare del Festival dello sbattezzo. Un appuntamento anticlericale che permetteva a chi volesse cancellarsi dai registri della Santa madre Chiesa di farlo. Oggi non esiste più. Non tanto perché sono ridiventati tutti credenti, è che proprio a nessuno importa

JohnStezaker, Blind I, Collage 23.2 x 18.7 cm, 2006

Raul, si chiama Raul il tipo, aveva una cultura incredibile. Le ha detto di essere stato operato di tumore al cervello e per questo di essere ipovedente e danneggiato a livello neuronale, disoccupato e ai limiti dell’indigenza. I supermercati gli lasciano una cassetta con i prodotti appena scaduti, diceva. E se ha un dubbio, su una data o un fatto storico, visto che non ha uno smartphoneinternet, va a cercare risposte alla Biblioteca nazionale. Roma gli piace perché nessuno chiede perché non lavora, invece a Fano sì. Sembrava Einstein per quanto i suoi riflessi mentali erano allerta. Ha iniziato a parlare di Bologna negli anni Novanta, dell’occupazione del Pellerossa, delle notti in riviera e della musica alternativa. Non si capacitava di come Giovanni Lindo Ferretti, leader dei CCCP, poi CSI e PGR, fosse passato dal Punk militante alla dichiarazione di osservanza della teologia ratzingeriana. Le è venuta nostalgia ad ascoltarlo. Intanto un tipo biondo e giovane le ronzava intorno. L’indomani sarebbero andati a cena e poi le avrebbe confessato di essere fidanzato, ma questa è un’altra storia. Faceva freddo e stavano fuori come fosse primavera. Credo che questo postulato secondo il quale «Domani andrà meglio», per quello di Fano non esista. Voi direte «Perché è uno che non ha niente quindi è felice». Sbagliato. «Allora è contento di non avere responsabilità». Acqua. «Diccelo tu allora…» Beh, penso che sia la speranza. Non ha ammazzato la speranza. E questa vita minuta, in attesa che un Ente statale lo metta in graduatoria, perché sa parlar forbito e suo padre ne faceva parte, pagava i contributi così che quelli come lui potessero avere un posto, gli permette incursioni nel mondo degli altri. Privo però di quello spirito mercantile che innerva i rapporti nelle grandi città, e anche nelle piccole province. Oltre alla speranza c’è poi anche questo genuino amore sul sapere le cose. Come quando lei dipingeva e non si aspettava di avere una gratificazione narcisistica, era contenta lì, in quell’istante. Spazzava fuori il censore interno e restare isolata diventava la suprema forza del carattere

Non vuole confondersi però con le cose del mondo. Con la politica, la beneficenza e le mance. Ogni volta dice mai più, almeno per quanto riguarda l’opzione martirio. Digiuna a causa di serate che si ripetono e rivelano alcoliche e dispersive. Cerca di fare quello che vorrebbe dagli altri. Aiutare qualcuno, ad esempio, la fa sentire reale. Abbiamo attraversato le sue stesse strade. Ci siamo riparati sotto quei portici. Ma non si lascia andare ai regali generosi del caso. Gliel’hanno sempre rimproverato. «Non hai vissuto nel presente cara. Ti sembra saggio?». Il desiderio sale. «Lo senti?» le avrebbe detto il ragazzo nei giorni seguenti. Aveva preso un taxi dal locale al suo albergo ed era scappata. Il tassista le aveva chiesto come mai bella com’era stava tornando a casa da sola. Viveva in un albergo lei, come aveva sempre immaginato. «Lo senti bene?», aveva detto il ragazzo afferrandole i capelli nel pugno. È così poco abituata a scoprirsi che farlo è come entrare con nuovi occhi nella sua stessa faccia deformata dal piacere. Ha qualcosa di infantile che preme nel corpo: i seni piccoli, le labbra strette in un rifiuto, il ventre piatto. Usa questo paradosso fra rughe d’espressione e corpo da ninfa, non funziona come antidoto però. Con lui le ci è voluto uno sforzo. Perché l’ossitocina nel sangue era più intensa e tenace da abbattere. Il territorio dell’orgasmo è frutto di estraneità. Come se dovesse rischiare. E rischia. Prima di andarsene le ha chiesto il suo odore (un feticcio) – una maglia, una sciarpa -, in cambio le ha offerto la vista sul muro, dall’altra parte del cortile interno. Vedeva l’intonaco scrostato, quando le ha preso forte il collo. Guardando di fronte a sé ha smesso di percepire quello che stava accadendo dentro di lei e lo ha pensato. Il cielo non spiove in questa camera, ha osservato; la canzone sfuma e riparte su un letto orribilmente sfatto.

Perdonatemi, che si sia fatta sera

Il popolo dei Bambara chiama cane il membro virile e associa al cane il sesso. La docilità e fedeltà del cane sono solo una maschera per la ferocia che può esplodere, portando alla luce l’antenato che vive dentro di lui: il lupo, lo sciacallo, la iena

Deve calmarsi. Inspira sette volte ed espira altre sette. Cosa non si fa, cosa non si deve fare? Parlare del suo problema. Non sa contenersi. Le striscia fuori dalla bocca, viscido. Un topo morto, un muro a secco. Il sole. Un albero scheletrito e uno vivo. Oltre, il mare. Lui l’aveva presa lì, sulle pietre. L’aveva girata e con un po’ di sforzo era entrato fino in fondo. Mentre una tartaruga baciava la polvere. Non aveva sanguinato nonostante i tredici anni. Qualche volta lo sognava. Di spalle, a scuoiare un coniglio. Con le belle mani bianche ricoperte di un liquido scuro come inchiostro. Lei mascherata per un grande ballo, ma in un salone desolato. Con le candele accese e la musica inceppata su una domanda

Prendimi ancora, ripeteva. Ancora. Dal fondo della sala però, come un’ombra, cominciava a muoversi un cane che fulmineo si avventava sul suo polpaccio, addentandolo insieme a un lembo del vestito. Ecco, sentiva: è fatta. L’amore non è mai andato di moda se non nei racconti

 

Il demone della purezza

Di recente mi è venuta un’idea per un nuovo gioco a premi: si chiama “Il Vecchio Gioco”. In studio ci sono tre signori anziani con una pistola carica; ripensano alla loro vita, vedono chi sono stati, cos’hanno concretizzato, quanto sono andati vicini a realizzare i loro sogni. Vince chi non si fa saltare le cervella. Il premio è un frigorifero

(Chuck Barris, ideatore de “Il gioco delle coppie” e “The Gong Show”, occasionale sicario della CIA negli anni della guerra fredda)

“Mi ha toccato?”
“L’ho toccata?”
“Come ha osato?”
“In che senso?”
“Ha le mani così… e mi ha toccato?!”
“Non più lerce della sua faccia”

Angelica Garcia, Untitled
Angelica Garcia, Untitled

Il controllo deve essere severo. Sveglia. Discorsi. Caffè. Meditazione breve. Vestiti, calzini ed esercizi di osservazione alla finestra. Allo specchio. La posizione, mantieni la posizione perdio. Scaletta. Irritazione per l’approssimazione degli altri. Come cazzo si è permessa di sedersi sul letto? Due volte deiezioni diverse e lavaggi rettali accurati, le mani anche: dalle unghie ai gomiti, bene sotto le unghie. Caffè. Libri. Respirazione del fuoco e stretching. Ricordo sogno: Vomito un passero a pezzi, un uccello a brandelli. La testa e il becco interi. Un parto dalla bocca.
“Pensava che a succhiarmi l’uccello due volte già stavamo insieme”
Papà pisciava e si lavava nel lavandino dopo essere stato con quelle troie. Lo sapevo e non potevo dirlo a mamma. Mi rifiutavo. Io non sono come lui. Non ero come lui. Nella stessa stanza ero due persone diverse: per me e con lui. Due persone sedute dalla parte opposta del tavolo.
Tachicardia. Il Pater noster. Paura. Luce. Caffè. Riordino, raccolta carta, umido, plastica, vetro. Scelta cravatta. Pranzo con collega. La realtà ferma. Ferma, ferma, ferma. Pausa, fame. Messaggi. Tensioni. Sgrammaticature. Amico, strada, metro. Disinfettante mani. Cinema privato. Vino. Libro con sovra copertina blu. Chiamata madre. Buone notizie e cattive notizie. Fiato corto. Candele al vetiver. Il sole. La rabbia. Cesso e detersivi. Via tracce. Fughe del pavimento con lava unghie. Chiudere bene il water per fuoriuscita batteri fecali. Mal di testa. Peso sul cuore. La giovinezza è una cosa innocente. Messaggi. Sesso a pagamento senza contatto. Sesso e nulla. Essere nulla e rifiutare di scopare dopo avere pagato. Riviste pornografiche, nausea, musica classica. Purificazione
Telefono. Letto giù. Infradito. Bagno, asciugamano in lavatrice, libri tre e caffettiera. Amica. Respirazione breve. Affanno. Bollette. Strada. uscita, buio, percorso, supermarket, ascensore, porta, chiavi, di nuovo porta, stanza. Cena. Stanza, letto, film. È tardi, sempre tardi. Mi lavo.