Scrivimi, cazzo!

Scrivimi, cazzo, e perdona questo tono, ma non sai la voglia che ho di abbassarti gli slip (rosa o verdi?) per darti una scarica di quelle che dicono ti voglio bene ti voglio bene a ogni frustata.
(Julio Cortázar a Alejandra Pizarnik)

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Quanto è facile tacere, essere calma e obiettiva con gli esseri che in realtà non mi interessano, al cui amore o amicizia non aspiro. Allora io sono calma, cauta, perfetta padrona di me stessa. Ma con i pochissimi che mi interessano … Lì sta l’assurda questione: sono un tumulto. Da lì proviene la mia assoluta impossibilità di sostenere l’amicizia con qualcuno mediante una comunicazione profonda e armoniosa. Tanto mi do, mi affatico, mi trascino e mi sfinisco che non vedo che l’istante per potermi liberare da questa prigione tanto voluta. E se non giunge la mia stanchezza, arriva quella dell’altro, pieno di astio per tanta esaltazione e presunta genialità, e se ne va in cerca di qualcuno che è come io sono con la gente che non mi interessa.
(Alejandra Pizarnik)

Nel cassetto c’era di tutto. Foto, mollette da bucato, post-it con appunti,  biglietti di cinema e concerti, ciproxin, matite, vecchi telefoni, caricabatterie spaiati. Lasciò scivolare in quel casino due righe d’addio

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Martin Creed, Still from Work No. 610 Sick Film

Dormiva, agitata. Se qualcuno l’avesse sorpresa avrebbe pensato che aveva la febbre. Il ritorno era stato l’elaborazione di una fine senza inizio. Dov’era l’acqua ferma e serena? “Che cazzo fai!!” aveva urlato, ma quello era scivolato dentro l’androne e le aveva sbattuto la porta in faccia, lasciandola fuori con il bagaglio. C’era stata una mostra la sera prima del ritorno e l’ansia da stage le stringeva ancora la gola. Rovistò nella borsa e intanto il cellulare le cadde a terra e lo schermo si scheggiò. Grosse lacrime iniziarono a scenderle lungo le guance. Aveva la faccia paonazza, i capelli elettrizzati dall’umidità e macchie di rimmel sotto gli occhi. Aprì il portone e lo mollò con violenza alle sue spalle. L’ascensore era bloccato a chissà quale piano, quindi dopo dieci minuti d’attesa cominciò a salire con il manico superiore della valigia stretto con entrambe le mani. Lo sentiva ancora dentro, come se non avessero finito e lui non fosse uscito fuori da lei, dalla sua vita, dalle sue prospettive, dal centro delle sue gambe. Nel calore artificiale della stanza in condivisione sognava scatti pornografici. Quelli che si erano scambiati in chat. Gli urlava di cancellarli, intanto che diventavano giganteschi, in un cielo da obitorio. Lui le rispondeva di aprire meglio le cosce. Un po’ di più, ancora, dai… non fare la difficile.

Amico caro, fratello perduto, amore che fu grande

“Tu porti in te un riflesso di me stessa, una parte di me. Ti ho sognato, ho desiderato la tua esistenza”

(Anaïs Nin, Henry & June)

Le spiace tanto che tu non risponda. Non si può accendere un fuoco sotto la pioggia. Ma nemmeno sottrarsi alla speranza che, prima o poi, il possibile, ciò che in una vita si può fare per rimediare, vada a posto

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Toshio Saeki, Sans titre, Silkscreen print on washi shin-kozo-shi paper — 52 × 39 cm, 2010. Courtesy de l’artiste et la Galerie Da-End

Se lo augura sopratutto per il bene che vi siete voluti, come è naturale. Ti scrive da una Roma bagnata da una pioggia anomala e torrenziale. Una Capitale che sfrigola e puzza di frittura, cucina contadina e non regala appagamenti. Nemmeno alla lingua. I turisti scivolano dentro e fuori i quartieri del centro, tenendoli insieme come perle colorate e pacchiane. Prova a mettere insieme i pezzi delle sue visioni. Le notizie su quello che avrebbe voluto fare da sveglia si chiariscono quando sogna. Arriva qualche dispaccio e si limita a coglierlo al netto di ogni pretesa. Ti ha sentito bloccarla al risveglio, erano le tue mani, non può sbagliarsi. Senza sapere però cosa voglia dire. Ha urlato e poi ti ha chiesto perché non la baciavi. Perché?

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Gregory Thielker, Under the unmindingsky series, CompleteStop Huile sur toile Courtesy of the artist

Stenta ad ammettere che quell’animale selvaggio che abita nel suo cervello si agiti e frema quando lei abbassa la guardia. Talché, continua ad accadere, di tanto in tanto, di lasciare che l’azzanni. Fate l’amore, vi confessate tradimenti. Gli rimproveri l’abbandono. Torni nella vostra casa al mare. Vedi sua figlia. Ti riprendi il posto giusto nella sua storia. Sempre i flash si svolgono con estrema limpidezza. Ma nelle ultime settimane qualcosa è cambiato. Può darsi che lui sia solo e ripensi a voi in un modo pervaso da commozione nuova.

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Radenko Milak, Trial (1955), Watercolor on paper — 100 × 145 cm, 2016. Galerie Les filles du calvaire

Poi capisci, e vorresti che lo facesse anche lui, quanto sia difficile mettere insieme queste righe in modo onesto e sensato. Senza perciò stesso dare l’impressione di volere la sua attenzione a ogni costo. Ma l’idea di cambiare il passato per intercessione del presente c’è. Ed è imperiosa. Stiamo parlando di fantasticherie. Da sveglia si tratta di proporre un semplice scambio di notizie, che renda onorevole il suo passaggio – quello manca – per tutti quanti gli anni insieme. Rimossi così, con rancore e senza un giusto addio.

Sentire anche se l’amico caro, il fratello perduto, l’amore che fu grande, sta bene. O accertarsi che ti pensi. A quanto pare, non si può fare altro che questo. Sperare, evitando attese. Sennò interpreteresti lo stesso ruolo che è appartenuto a tua madre, che troppo ha aspettato sul molo tuo padre, che non aveva più il fiato per tornare ed è annegato prima di tenerti addosso. Vuoi credere lo stesso in una soluzione del cuore: un “tana libera tutti”. Per trovare la strada che permetta alle cose belle di prendere il sopravvento. Per sempre. Per sempre.