Ogni anno circa 120.000 organi, soprattutto reni, vengono trapiantati da un essere umano a un altro. In alcuni casi il donatore è un volontario ed è vivo. Di solito, però, si tratta di una vittima di incidenti, ictus, attacchi cardiaci o simili eventi improvvisi che hanno determinato la morte di un individuo altrimenti sano. Ma la mancanza di donatori idonei, in particolare ora che le automobili diventano più sicure e il primo soccorso diventa più efficace, significa che la fornitura di tali organi è limitata. Molte persone quindi muoiono in attesa di un trapianto. Ciò ha portato i ricercatori a studiare come si possa costruire organi da zero. Un approccio promettente è quello di stamparli.
(Printed human body parts could soon be available for transplant, Medium/Economist, 31 ottobre 2017)
L’accendino si era scaricato e non avevo con me né soldi né il bancomat. Una zingara stava rovistando nei bidoni, con metà corpo nel cesto e le sue gonne larghe e luride che sembravano vive ma senza il tronco. Mi avvicinai. Pensavo avesse da accendere e le dissi che le avrei dato un anellino d’oro. La zingara non aveva più di diciassette anni. Tirò fuori la faccia dalla monnezza e sorrise. Faceva freddo. Il fuoco la sorprese e anche me. All’orizzonte si sollevò una colonna di fuoco alta almeno venti metri, con la parte apicale a forma di fungo. Sulle nostre pupille brillava il riflesso delle fiamme e regnava un silenzio così denso da farmi salire un brivido lungo la schiena insieme a un senso di nausea così forte che mi appoggiai al braccio della zingara per non cadere. Il mondo era finito ed eravamo rimaste noi. Le chiesi ancora da accendere e lei tirò fuori un accendino rosa da dentro la manica del maglione dai bordi lisi e marroni. Prima potevamo scegliere cara, ora non più, dissi. Non rispose. Guardò ancora verso il fuoco, immobile. Sta per piovere, disse. Come lo sai? Dissi. Ho sentito una goccia sulla testa, disse. Cosa facciamo? Dissi. Ce l’hai una casa? Disse. Da oggi comincia la caccia, disse. Io sono avanti, aggiunse.