Fucking end

Ogni anno circa 120.000 organi, soprattutto reni, vengono trapiantati da un essere umano a un altro. In alcuni casi il donatore è un volontario ed è vivo. Di solito, però, si tratta di una vittima di incidenti, ictus, attacchi cardiaci o simili eventi improvvisi che hanno determinato la morte di un individuo altrimenti sano. Ma la mancanza di donatori idonei, in particolare ora che le automobili diventano più sicure e il primo soccorso diventa più efficace, significa che la fornitura di tali organi è limitata. Molte persone quindi muoiono in attesa di un trapianto. Ciò ha portato i ricercatori a studiare come si possa costruire organi da zero. Un approccio promettente è quello di stamparli.
(Printed human body parts could soon be available for transplant, Medium/Economist, 31 ottobre 2017)

 

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Ed Atkins, Safe Conduct, 2016 Three channel installation with 5.1 surround sound Acquisition approved November 2016

L’accendino si era scaricato e non avevo con me né soldi né il bancomat. Una zingara stava rovistando nei bidoni, con metà corpo nel cesto e le sue gonne larghe e luride che sembravano vive ma senza il tronco. Mi avvicinai. Pensavo avesse da accendere e le dissi che le avrei dato un anellino d’oro. La zingara non aveva più di diciassette anni. Tirò fuori la faccia dalla monnezza e sorrise. Faceva freddo. Il fuoco la sorprese e anche me. All’orizzonte si sollevò una colonna di fuoco alta almeno venti metri, con la parte apicale a forma di fungo. Sulle nostre pupille brillava il riflesso delle fiamme e regnava un silenzio così denso da farmi salire un brivido lungo la schiena insieme a un senso di nausea così forte che mi appoggiai al braccio della zingara per non cadere. Il mondo era finito ed eravamo rimaste noi. Le chiesi ancora da accendere e lei tirò fuori un accendino rosa da dentro la manica del maglione dai bordi lisi e marroni. Prima potevamo scegliere cara, ora non più, dissi. Non rispose. Guardò ancora verso il fuoco, immobile. Sta per piovere, disse. Come lo sai? Dissi. Ho sentito una goccia sulla testa, disse. Cosa facciamo? Dissi. Ce l’hai una casa? Disse. Da oggi comincia la caccia, disse. Io sono avanti, aggiunse.

La barba

Si faceva strada la certezza di essere diversa. I maschi la schivavano e le femmine la invidiavano per la sua sfacciataggine

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Maria Falconetti in The Passion of Joan of Arc, 1928, Carl Dreyer (film)

Era diventata vegana a dieci anni, deperendo in modo visibile nel giro di pochi mesi. Anche le mestruazioni le erano venute tardi. I genitori erano separati. Suo padre si occupava di investimenti nell’Europa dell’Est e la madre aveva un centro estetico nella loro città. La sorella frequentava di nascosto i club bondage. Greta aveva letto di una adolescente giapponese che si era ribellata alle norme di bellezza delle liceali facendosi crescere la barba. Un sabato di novembre aveva preso il rasoio di plastica rosa con le contro lamette intrise di gel all’aloe, che la sorella utilizzava per depilarsi le gambe, e l’aveva passato sulle guance e sopra le labbra, con la mano tremante. Non c’era ancora nulla da radere ma presto un’ombra nera sarebbe apparsa dove adesso la pelle era liscia e da poco le guance avevano smesso di essere tonde in modo infantile. A maggio, quando la trasformazione è già compita, incrocia Justin in palestra

 

 

“Ehi”

“Ehi”

“Certo che sei proprio forte”

“In che senso?”

“Intendo quella”

“Ti riferisci alla barba?”

“A cosa sennò?!”

“Uhm…”

“Sai che mi piace…”

“Beh… sei l’unico. E poi non l’ho fatta crescere per piacere a qualcuno”

“Mi piaci per questo”

 

Andarono nello spogliatoio e Greta sfiorò il petto di Justin che aveva due lievi rigonfiamenti, come due seni appena sbocciati. Sgranò gli occhi e Justin le chiese se le facevano schifo, lei fece di no con la testa.