Erano due famiglie. Una dei Bianchi: figli albini, capelli argentei, casa minimalista e terrore del colore; vissuto come una malattia contagiosa. I dirimpettai Rossi: capelli carota, viso rubizzo e cuperosico, screziato da efelidi
L’unica figlia adolescente con labbra ciliegia e zigomi rosso rosati. La loro casa nei temi della cera lacca di Cina. Persino la Tv, da spenta, era incassata in un mobile a due ante, anch’esso rosso. Si ignoravano. I Bianchi taciturni, i Rossi ciarlieri. I Bianchi ecologisti, i Rossi sanzionati dal Comune a causa della spazzatura. I Bianchi amanti della musica classica contemporanea, i Rossi del Pop e della melodica. Finché Oliviero dei Bianchi e Bruna dei Rossi non si innamorarono e Bruna rimase incinta. Bruna era come un cespo di lattuga in un campo mentre i Rossi erano pecore al pascolo in lontananza. I Bianchi scampanellarono ai Rossi. Si accomodarono in soggiorno, inorriditi da tanta vertigine cromatica e attaccarono con la solfa della gioventù, e della avventatezza e cose di questo genere. Bruna doveva continuare a studiare, dissero i Bianchi. E il moccioso? Chi si sarebbe occupato del pargolo in arrivo? Replicarono i Rossi. L’atmosfera si stava arroventando. Arrivò un messaggio simultaneo sul Samsung bianco di Bianca dei Bianchi e sull’Iphone con cover rossa di Marzia dei Rossi: «Siamo via non aspettateci». Marzia dei Rossi bestemmiò. Bianca dei bianchi le disse di mantenere un certo contegno. Rosso dei Rossi, padre di Oliviero, disse: «Conte che?». Volarono parole rosse come aeroplani di carta bianca. Le gote dei Bianchi s’imporporarono. La faccia dei Rossi sbiancò.