Surreal

«Cerco amori nuovi, violente sere.
Perdono chiedo a chi non amai»

Dario Bellezza
(5 set. 1944 – 31 mar. 1996)

La casa di piazza Strozzi era sciupata. Stava conficcata in una Prati secondaria e buia. Tre camere, un bagno, una sala da pranzo adibita a stenditoio e tre femmine pazze e tristi. Il problema dei turni, lungo i mesi di rodaggio, si era ingigantito fino a diventare una guerriglia

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Giuditta Godano, Senza titolo, foto digitale, 2018
« Non ti ho visto fare mai le pulizie »
« Perché le faccio quando non mi vedi »
« Sarà… »
« Nemmeno io vedo niente quando pulisci tu »
Non paga di ciò, la più nevrotica del gruppo – alta, con le spalle strette intorno al collo, gli occhiali da secchiona e un appetito da legionario – si rifiutava di asciugare i lunghi capelli riccioluti nella sua stanza, lasciando l’unico bagno in condizioni simili a quelle di una latrina
« Mi spieghi perché non pulisci il bagno? »
« Perché non ci vado »
« In che senso non ci vai?! »
« Ho il secchio »

Avalon

Merdina secca si considerava un disobbediente. «Cazzo fai», mi diceva ogni volta che agguantavo un prodotto della multinazionale che aveva decimato i bambini africani con il latte in polvere

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Julien Meert, Untitled, 2014. Courtesy the artist

Vegano, eroinomane ma senza buco. «La roba viene dai papaveri, sai pensare a una cosa più fica?» non l’avevo mai visto fare la caccia al dragone sulla stagnola, né mai mi avrebbe consentito di vederlo fuori. L’avevo beccato al supermercato, con una stilografica nascosta dentro la manica del giaccone, a danneggiare gli involucri di carne. Spargeva tracce d’inchiostro sulla pelle di pollo e sulle nervature dei filetti di manzo. Spiccavano due tatuaggi gemelli con i simboli dell’anarchia su entrambi i dorsi delle mani. Eravamo diventati amici. Mi piaceva sentire il calore della mano invisibile e retrattile che mi accarezzava la guancia quando ero triste. Merdina aveva una madre e anche un padre biologico, non nel senso della provenienza garantita a filiera zero. Il padre era un singer, un musicista stile menestrello contemporaneo, laureato a Yale e giramondo. Un inglese allampanato, con l’occhio ceruleo e un repertorio alla James Blunt dei poveri. Aveva saputo di questa paternità quando la madre gli aveva confessato il perché l’avesse chiamato Avalon, come una delle canzoni più note fra i youtube follower del canale dedicato al giramondo menestrello. Così Avalonmerdinasecca era diventato non solo un amico ma il mio migliore amico. Mi occupavo che le sue dosi di papavero non superassero la singolarità settimanale. Come? Con la scusa di una consultazione meticolosa di testi sull’etica verde dei tossici. Nell’ottica della riduzione del danno e dell’interdipendenza controllata. Una cosa è restarci sotto, altro è scegliere di non seguire la mandria. Vi faccio un esempio diverso. Avete presente lo scopamico, ormai caduto in disgrazia giacché sostituito dal più gagliardo rapporto poli amoroso? Sì? Bene. Andiamo avanti. Ecco ci sono differenze che riguardano maschi e femmine, non così rigide come la pubblicità della Barilla vorrebbe ma, senza alcuna ombra di conservatorismo da parte mia, ci sono eccome. Un maschio si spinge a toccare con l’automobile il bordo della curva per il gusto del rischio e del limite da oltrepassare, una femmina accetterà l’intimità promiscua purtuttavia convinta che un giorno scoverà il campione della specie, il maschio alfa, e se lo terrà ben stretto. Una cosa è trasgredire, altro è disobbedire. Per farlo ci vogliono indicazioni chiare su ciò che serve per appartenere a qualcosa o a qualcuno. Mi aveva chiesto di dormire da lui. Aveva una crisi nella sua organizzazione borderline ad alto funzionamento. Era diventato ipo maniacale, diceva che un fantasma, di notte, cambiava di posto ai libri nella sua stanza

Aveva urlato contro sua madre, la quale serafica, si era accesa una canna e gli aveva chiesto se voleva farsi un tiro. La ragazza lo aveva bloccato su whatsapp, messenger, snapchat e l’aveva inserito nella lista nera delle chiamate. Tutto perché lei aveva comprato un paio di scarpe di pelle e lui non aveva retto alla pressione e le aveva detto che avrebbe potuto usare la sua faccia di cazzo per farcisi le scarpe. Avalon era così: il più grande vaso di terracotta travestito da coltello a serramanico. Un falso duro, dipendente dalla sua donna come un depresso dal Prozac. Lei non sapeva però del suo amore per i papaveri, delle stilografiche assassine di polli e tante altre cose che lo riguardavano. Lei che aveva comprato gli stivali di pelle più brutti del creato, non aveva negli occhi quella lente d’ingrandimento capace di trasformare Merdina Avalon in un insetto al microscopio: bello fino alle antenne. Il bene è questa luce sparata sui dettagli. La carezza che consuma la mano. Peccato che fra me e Avalon, ci siano vent’anni di differenza.